Debole. Così mi fa sentire la dipendenza: debole, e non lo sopporto. Mi sento come un cane affamato e impaurito che non fa altro che controllare un osso. Un osso che gli da l'illusione di sfamarlo, ma che non ha nessuna polpa. Lo morsica per illudersi e controlla in continuazione che nessuno glielo porti via. Per fare la guardia all'osso rinuncia a fare qualsiasi altra cosa. Anche a cercare qualcosa che possa sfamarlo davvero.
A chi potrebbe piacere un cane del genere? A me no. E a nessun altro.
La mia testa vede bene cosa sarebbe giusto fare, cosa dovrei fare per risultare forte. Ma non ce la faccio. Non riesco ad allontanarmi dall'osso.
Se mi allontano rischio di perdere quella possibilità di illudermi, la possibilità di sentirmi sazia anche se solo per poco. Evidentemente sento che questo è il massimo a cui posso aspirare.
Vorrei sentire di potermi avventurare e di lasciare alle mie spalle un posto sicuro a cui poter sempre ritornare. Invece devo stare sempre attaccata all'osso nascosta, per non rischiare.
Debole. Affamata. Cosa mi sto perdendo?
Ogni volta che non so staccarmi dall'osso è una nuova sconfitta, che mi fa sentire senza volontà e senza coraggio.
Ho imparato che la volontà, il coraggio e la forza non sono qualcosa che dipendono solo da me, almeno non tutti se li ritrovano belli e pronti nel proprio bagaglio. Qualcuno fortunato sì, è avvantaggiato. Ma altri, molti, in eredità hanno trovato il sacco vuoto, o meglio, pieno di paura. Ma che colpa ne hanno? Che colpa ne ho?
Dicono che il sacco si possa svuotare dalla paura, piano piano, e riempirlo di volontà, coraggio e forza, ma piano piano. Per queste cose ci vuole tempo.
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